Le domande dei cinesi sulle questioni private

Di solito, le domande dei cinesi sulle questioni private sono motivo di perplessità per gli stranieri. Nella cultura occidentale, domande da parte di uno sconosciuto riguardo al paese di provenienza, all’età, allo stato civile e allo stipendio posso risultare spiacevoli. Tuttavia nella cultura cinese, queste domande sono legate più al pragmatismo dei cinesi che alla loro curiosità.

“È da saggi domandare e da stupidi tacere”, dice il proverbio. Sarà questo il motivo per cui ai cinesi, dalla sapienza millenaria, piace tanto fare domande. Pertanto, al primo impatto con uno straniero e dinnanzi alla curiosità che provano nell’incontrare una persona proveniente da una cultura diversa, desiderano avere alcune informazioni per sapere come porsi di fronte ad essa. L’unico obiettivo di tali domande è etichettare l’“altro” per facilitare la relazione con esso. In ogni caso, la domanda non è il passatempo di chi si annoia, bensì una necessità sociale con motivi logici che vedremo più avanti in questo articolo.

Flickr: Garry Knight

Nel caso della Cina, sono quattro le domande che più di frequente vengono poste agli stranieri: paese di provenienza, età, stato civile e stipendio. Ad eccezione della prima, le altre sono domande impensabili nella cultura europea. Poche donne risponderebbero con piacere alla domanda sull’età; con i cambiamenti nella struttura familiare e nelle relazioni umane, anche rispondere alla domanda sullo stato civile può a volte diventare complicato; per quanto riguarda lo stipendio, è fuori questione. Tuttavia in Cina, attraverso la risposta a una di queste quattro domande, è possibile farsi un’idea della persona che si ha davanti e agire di conseguenza. Dal momento che è possibile porre delle domande su questi quattro aspetti così riservati di una persona, sembrerebbe che sia possibile fare domande anche su qualsiasi altra cosa. Può dare, addirittura, l’impressione che la privacy non esista. In realtà, non è tanto la curiosità quanto il pragmatismo, ciò che spinge i cinesi a fare queste domande.

Nella cultura europea, dalle radici fortemente cristiane, predomina – anche se a volte in maniera così inconscia da essere invisibile – l’aiuto verso il prossimo, ammesso che quest’ultimo ne abbia bisogno e che sia possibile offrirlo. Qualcosa tipo “fai del bene senza pensare a chi lo fai”. Nella cultura cinese, i favori si fanno non tanto per necessità, bensì per essere sicuri che l’aiuto offerto possa in futuro essere restituito. Sono più per il “oggi a te, domani a me”, come dice il proverbio. Anche in Europa in molti casi si spera nella reciprocità del favore, come dimostra il proverbio, tuttavia si dà più valore all’aiuto offerto senza aspettare nulla in cambio né chiedere informazioni sulla persona. Il pragmatismo cinese non prevede questa opzione. È fondamentale che l’aiuto ricevuto venga restituito nella stessa misura, senza eccessi né mancanze, per saldare il debito di cui ci si fa carico quando si riceve un favore. Questo debito rappresenta un fardello così pesante da influire profondamente sulla persona che lo riceve. Nel caso in cui non fosse possibile restituirlo, rappresenterebbe un grande dispiacere. Si tratta di un modo diverso di considerare le relazioni sociali: uno scambio di aiuti reciproci debitamente ricompensati.

Tuttavia, quando un tassista di Pechino pone le quattro domande note a uno straniero, lo sta, forse, aggiungendo alla sua banca dati di possibili benefattori futuri? Improbabile. Il tassista che riporta a casa uno straniero non andrà in cerca del suo aiuto per risolvere un problema personale, ma essendo a conoscenza della sua età, del fatto che sia sposato o meno, di quanti soldi guadagni e del paese di provenienza, potrà farsi un’idea generale di altri stranieri che provengono da quello stesso paese. In fin dei conti, questa è la funzione dello stereotipo: essere utile a etichettare lo sconosciuto al fine di sentirsi sicuri di fronte ad esso e facilitare le relazioni future con altri stranieri dalle caratteristiche simili.

È piuttosto curioso che persone di età e posizioni sociali diverse, dal tassista al funzionario, facciano tutte le stesse domande. A volte ne vengono aggiunte altre come “da quanto tempo vivi in Cina?” o “cucini tu stessa? Cibo occidentale o cinese?”, ma quelle di base sono le quattro citate in precedenza. È come se figurassero su un manuale di cortesia studiato da tutti. Inizialmente ci si sente a disagio quando vengono poste queste domande, come se, dovendo rispondere, venisse violata la propria privacy. Poco dopo si apprende che la risposta dipende da se stessi e che “dinnanzi al vizio di domandare, il vantaggio di non rispondere” o, in questo caso, di rispondere ciò che sembra più appropriato a seconda del contesto. Alla fine si comprende che nella domanda vi è anche un interesse verso l’altro in quanto essere umano, cioè è come se chi pone la domanda dicesse: “per me non sei una persona qualunque, mi interessa sapere chi sei”, una maniera come un’altra di preoccuparsi per qualcuno. In questo modo, venire interrogato non risulta più essere una cosa così aggressiva.

Abbiamo visto in precedenza le domande che vengono fatte agli stranieri, ma… e quelle che si pongono i cinesi tra di loro? Si pongono anche così tante domande? Vi sono domande che li fanno sentire a disagio? Innanzitutto, i cinesi hanno una base culturale comune che dà per scontato molte cose, come per esempio, il fatto che una donna di campagna con più di 22 anni e una di città con più di 30 siano già sposate. O per quanto riguarda l’età, già a prima vista si può intuire più o meno l’età delle persone del proprio paese, riuscendo quindi a farsi un’idea. La domanda sul lavoro e sul luogo di lavoro è davvero fondamentale. Rientra nella raccolta dati per la lista di possibili benefattori a cui ricorrere in caso di emergenza e dà informazioni sulla posizione sociale dell’interlocutore. Le principali domande che metteranno a disagio una persona sono quelle che riguardano un aspetto che possa influire in maniera negativa sull’immagine sociale, domande che non verranno poste intenzionalmente, a causa della consuetudine di non voler mettere l’altro in imbarazzo e fargli “perdere la faccia”.

Nella cultura occidentale, più individualista, tanto gelosa della propria intimità e della propria privacy, la domanda di uno sconosciuto può a volte essere considerato qualcosa di aggressivo. Nella cultura cinese, socievole, abituata a dipendere da una comunità familiare, la domanda è dimostrazione di interessamento verso i suoi componenti. Due facce della stessa medaglia che se vengono interpretate in modo corretto possono rompere le barriere culturali. Mettersi sulla difensiva di fronte all’altro al minimo attacco nella nostra vita, può farci perdere l’occasione di avvicinarci ad esso. Lasciare che le domande ci vengono poste è dimostrazione di fiducia. Anziché aspettare di avere fiducia prima e poi porre le domande, perché non proviamo a fare il contrario?

Tradotto dallo spagnolo da: Claudia Ramonda

Fonte: ConfucioMag, autore: Mónica Moyano

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