Il mio viaggio in Russia: giorno 1
ARRIVO A PETROZAVODSK
Sabato, 28 luglio 2018
Ho iniziato a studiare russo per caso, per pura curiosità. Alla mia università, cinese e russo si possono scegliere soltanto come “terze lingue” e se ne può scegliere una sola, perciò al momento dell’iscrizione scelsi ovviamente cinese, ma la curiosità di provare il russo rimase. Così, a metà del primo semestre del primo anno accademico decisi di iniziare a frequentare i corsi di russo da auditrice dato che i corsi erano aperti a tutti. Prima di allora non mi era possibile, perché gli orari delle lezioni di russo coincidevano perfettamente con alcune mie lezioni di spagnolo, perciò cominciai a frequentare a corso iniziato e il primo impatto fu un po’ scioccante perché non partivo dalle basi, non sapevo nemmeno le lettere dell’alfabeto. Tuttavia restai affascinata, comprai il libro di testo e dopo le vacanze natalizie iniziai a frequentare ufficialmente, senza mancare a una lezione.
Nonostante l’impegno anche a casa, ingranare non era facile e mai avrei pensato di fare una vacanza studio in Russia, anche solo per una settimana. Certo, c’è chi fa molto più di questo, ma per me riuscire in qualche modo a cavarmela e a comunicare solo in russo con la gente locale è stato motivo di grande soddisfazione personale.
Al secondo anno accademico, quindi, mi si presentò l’occasione di viaggiare per la Russia per 10 giorni, grazie anche alla nostra docente Elena Bulgarelli che ha organizzato il tutto molto bene e il 28 luglio 2018 alle 00.10 partimmo da Milano (un gruppo di 19 persone) alla volta di San Pietroburgo dove avremmo, in seguito, preso un transfer verso Petrozavodsk, in Carelia, un viaggio di 5 ore a 120 km orari tra boschi di betulle careliane.
Tale era la stanchezza per aver passato una notte intera praticamente in bianco che non riuscivo nemmeno a rendermi conto di dove mi trovassi, ma non appena la nostra navetta raggiunse la città di Petrozavodsk iniziai a realizzare che da lì a poco ciascuno di noi sarebbe stato lasciato nei pressi delle abitazioni delle nostre famiglie ospitanti e mi sarei ritrovata completamente da sola a dover interagire con una signora russa.
Fortunatamente io e i miei tre compagni di corso eravamo stati alloggiati nello stesso quartiere, non molto lontani l’uno dall’altro e quindi scendemmo tutti alla stessa fermata. Conobbi Nadezhda, una signora di 65 anni, che purtroppo o per fortuna non parlava altro che russo. L’euforia del momento fece sì che riuscissi a fare un minimo di conversazione con sufficiente successo, per lo meno finché non raggiungemmo il suo palazzo, anche se di tanto in tanto dimenticavo qualche parola cercando di rimediare con l’inglese. Ovviamente del tutto inutile.
Entrate nel suo appartamento mi fece accomodare nella mia stanza e mi mostrò la casa. In uno spazio nemmeno così grande c’era tutto il necessario: un salotto, una cucina, la mia stanza, la sua, lo sgabuzzino e il bagno/wc consistente in due locali separati, il WC da una parte e dall’altra quella che lei chiamava banja, ovvero “sauna” in russo. Sebbene non avesse per niente l’aspetto di una sauna come si è soliti pensarla, capii in seguito il perché di questo nome. Nella stanza, minuscola, si trovavano, uno attaccato all’altro, la vasca, il lavandino e la lavatrice. Lo spazio libero per il movimento era quello di un tappeto. Nessuna finestra. Con il risultato che, a doccia fatta, la temperatura all’interno di quello spazio angusto era esattamente quello di una sauna.
Non ebbi quasi il tempo di posare le valigie e tirare il fiato che Nadezhda venne a dirmi qualcosa di cui non capii il significato, ma dedussi che aveva a che fare con il cibo. Era circa mezzogiorno e mangiai, in compagnia con lei, tre giganteschi bliny con smetana, la panna acida. Fuori, temperature folli e nemmeno un goccio d’acqua fresca. A Petrozavodsk, come probabilmente nel resto della Russia, non è possibile bere l’acqua del rubinetto e, durante il mio soggiorno in città scoprii che anche nei bar non è per nulla facile trovarla e per giunta, quando la si trova, non è neppure così a buon mercato, a differenza di tutto il resto che ha dei prezzi assolutamente ridicoli. Ho ancora lo scontrino di un ristorante in cui mi sono riempita la pancia con 237 rubli, nemmeno 3€. Pertanto i miei bliny, furono accompagnati da una tazzona fumante di caffè solubile, con un centimetro di fondi di caffè che per poco non trangugiai insieme a tutto il resto. Nei giorni seguenti optai per il tè caldo, l’unica altra opzione possibile.
Dopo il pranzo, mi chiese se volevo riposarmi o fare un giro per la città insieme a lei. Decisi che non aveva senso dormire in pieno pomeriggio e, dato che ormai avevo superato la soglia della stanchezza, uscimmo a fare “due passi”. Percorsi circa 10 km in tutto, in quella che non può esattamente definirsi “passeggiata”. La Russia è un paese molto grande e il concetto di distanza, in questo paese, non coincide molto con il nostro, di conseguenza anche la modalità dei russi nel percorrere queste distanze è piuttosto diverso. Tra un fiatone e l’altro, nel tentativo di tenere il suo passo, mi mostrò la strada per andare alla scuola dove, due giorni dopo, avremmo frequentato il nostro corso settimanale di russo, passando per il parco in cui si trova lo stadio. Mi comprò un gelato, l’unica cosa fresca di tutta la giornata, poi proseguimmo su Prospekt Karla Marksa fino al lungolago.
Nadezhda mi spiegò ogni singolo monumento che si affaccia sul lago Onega e mi scattò qualche fotografia. Mi mostrò anche una pazzesca palestra gratuita all’aria aperta che si estendeva per un bel tratto nella parte pedonale del lungolago. Ogni attrezzo era diverso dall’altro e finalizzato a esercizi fisici specifici, il tutto tenuto con la massima cura. Nadezhda si mise immediatamente a fare esercizio e rimasi assolutamente sconvolta nel vedere quanta energia possa ancora avere una donna russa di 65 anni. Mi disse qualcosa che suppongo fosse “Prova anche tu!”, indicando gli attrezzi, senza sapere che non sono esattamente il perfetto esempio di persona sportiva. Tuttavia, ne provai un paio anche io, per accontentarla. Poi proseguimmo fino alla fine del lungolago e ritorno.
Durante tutto il pomeriggio, mi ritrovai più volte, nella situazione in cui non capivo quel che mi diceva e viceversa, con il risultato che passammo molto tempo a ridere tra di noi per le incomprensioni e a parlare dello stesso argomento finché non arrivavamo a intenderci, seppur in modo superficiale. Il fatto che lei parlasse russo con me allo stesso modo con cui parlava con la gente del posto, nonostante le dissi da subito che studio russo da soli due anni, non aiutava di certo. Questo mi scoraggiò parecchio, anche perché sulla chat di gruppo di whatsapp, gli altri miei compagni di avventura riferivano in continuazione quanto fossero entusiasti e si trovassero bene nella loro famiglia. Non che io mi trovassi male con la mia signora, anzi, era molto paziente, ma temevo che prima o poi si sarebbe stancata della mia incompetenza.
Perciò, più tardi, quando tornammo a casa, avevo solo voglia di spegnere il cervello e chiudermi nella mia stanza a deprimermi, ma fui di nuovo chiamata in cucina dove, in men che non si dica, mi aspettava un piatto di insalata Olivier, quella che noi comunemente chiamiamo insalata russa. La mia cena… alle 16.00! Inutile dire che non avevo assolutamente appetito a quell’ora, ma rifiutare era fuori discussione e fui grata di non dovere fare il bis. I russi sono molto ospitali e il cibo è una cosa che sicuramente non fanno mancare. Il loro frigo è sempre pieno e non importa quante volte ti venga riempito il piatto e tu dica “sono sazia, grazie”, loro continueranno a sostenere che non è abbastanza e a ripetere “кушайте, кушайте!” (mangiate, mangiate!). (A meno che tu non sia un bambino o un vecchio amico, ti verrà quasi sempre rivolto del “voi”. Anche se hai 30 anni di meno.)
Dopo la cena, Nadezhda mi chiese se fossi stanca e, a quel punto, non riuscii a non dire di no, quindi mi concesse di andare a letto. Feci ancora una doccia rinfrescante e, finalmente, mi stesi sul divanetto di legno ricoperto di cuscini, nella mia stanza e potei dare sfogo alle mie frustrazioni con il resto del gruppo. Dopo ore di messaggi scambiati con i miei compagni ed essermi accordata con loro per incontrarci la mattina seguente alle 9.30, crollai.
Domani sarebbe stato un altro giorno. Il nostro programma prevedeva una gita alla splendida isola di Kizhi nel lago Onega. Probabilmente il posto più bello che abbia mai visto.
To be continued…
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