Il mio viaggio in Russia: giorno 6
SPERDUTI TRA I BOSCHI
Giovedì, 2 agosto 2018
Come ogni mattina, l’urlo dei gabbiani, che dal lago arrivava fino a casa mia, mi fece da sveglia. Un suono che, a giudicare dal paesaggio che vedevo dalla finestra della mia stanza, pareva totalmente fuori luogo. Anche se non ero così distante dal centro città, il parchetto e la vegetazione folta mi facevano sentire come se vivessi in pieno bosco.
A colazione gustai un altro piatto tipico russo: la grechka, un tipo di kasha a base di grano saraceno, insieme a polpettine preparate dalla mia “mamma russa”. Nadezhda mi ricordò ancora una volta che sarebbe tornata tardi per lavoro e se ne andò, zaino in spalla.
Alle 8.30, uscii in strada, dove le temperature erano già folli e, dopo essermi incontrata con i miei compagni, ci avviammo verso la scuola.
Come mi ero ripromessa, prima di entrare a lezione, feci un salto da Bekker, il cafè dove il giorno prima avevamo ordinato qualcosa insieme ad Alina, per comprare la mia tanto agognata acqua fresca. Mi venne risposto che l’acqua era finita. Non potei far altro che pensare “Ma come è finita? È acqua!”. Per non uscire a mani vuote decisi di comprare una bottiglietta di kvas, fresca di frigo. Conoscevo già il kvas grazie alla nostra docente che, all’inizio dell’anno accademico, l’aveva portato a lezione per farcelo assaggiare e non mi era affatto dispiaciuto. Si tratta di una bevanda leggermente frizzante ottenuta dalla fermentazione del pane nero, che mi aiutò a resistere alle tre ore di lezione in aula, dove, benché ci fosse un condizionatore acceso, sembrava che non si riuscissero ad avere delle temperature umanamente accettabili.
Il tema della lezione era “al negozio”. Sullo stile delle lezioni precedenti facemmo esercizi e giochi linguistici volti a imparare e memorizzare parole nuove. A metà lezione fummo divisi a gruppi di due. A ciascun gruppo fu dato un bigliettino con un compito da svolgere in città. A me e a un mio compagno di corso ne fu assegnato uno su cui c’era scritto di andare a un chiosco vicino a un centro commerciale, non distante dalla scuola, chiedere da che paese provenissero i prodotti esposti e quali fossero originari della Carelia e, infine, comprare 10 gustose pesche per tutta la classe. Alina mi diede i soldi, poi ogni gruppo uscì dalla scuola, diretto verso la propria destinazione. Il gruppo di Giulia e il mio dovevano recarsi nella stessa zona quindi ci avviammo insieme. Fummo seguiti da Julia, una ragazza della scuola, che ci paparazzava con la sua macchina fotografica. Cercammo di corromperla ad aiutarci nella nostra missione, ma fu irremovibile, perciò dovemmo aggiustarci con quello che avevamo.
Arrivati al chiosco, aspettammo che tutti i clienti acquistassero e se ne andassero, per evitare di fare figuracce pubbliche. Poi finalmente ci buttammo e, prima di comprare le pesche, ponemmo le domande richieste. La commessa si divertì tanto da dirci “Tornate di nuovo”, ridendosela di gusto.
Quando anche il gruppo di Giulia ebbe portato a termine la sua missione, tornammo a scuola dove distribuimmo le 10 pesche al resto della classe e dove riferimmo ad Alina le risposte richieste dai compiti assegnatici. Quella fu una lezione che apprezzai particolarmente e mi divertii parecchio.
Per il pomeriggio era in programma, alle 13.15, un’escursione al parco avventure “Sherwood”. Dato il poco tempo a disposizione per il pranzo, decidemmo di mangiare un boccone da Bekker, dove comprai dei kalitki, poi tornammo davanti alla seconda sede della scuola, dove ci aspettavano Anton e la sua navetta.
Il viaggio dal centro città fino a Sherwood durò circa un’ora e un quarto, su strade al quanto dissestate e sperdute in mezzo ai boschi e alle stesse folli velocità di quelle da Pietroburgo a Petrozavodsk, durante il giorno del nostro arrivo in Russia. Ancora non mi è chiaro se fosse solo Anton a guidare in quel modo o se è una caratteristica comune a tutti i russi. Qualcosa mi fa pensare che la risposta giusta sia la seconda, a giudicare dalle condizioni delle auto che circolavano in città. Ne ricordo una a cui mancava completamente il fanale anteriore destro.
Arrivati al parco avventure, il telefono era completamente fuori uso, perciò non riuscii a capire dove ci trovassimo, se non durante il viaggio di ritorno. Per quanto ne sapevo potevamo anche essere finiti in Finlandia.
Posammo le nostre borse in un’enorme tenda arancione in mezzo agli alberi, poi Andrej ci aiutò a indossare l’imbragatura e il casco. Non so nemmeno perché non gli risparmiai la fatica, dato che dentro di me sapevo che non avrei mai accettato di fare quella follia.
Al parco avventure si giungeva salendo qualche gradino che portava su una piattaforma rialzata di legno da cui poi si accedeva alla serie di ostacoli. Andrej, senza né imbragatura né corda ci mostrò i due percorsi possibili, quello difficile e quello “facile”, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Io e Serena, ormai nel panico, guardammo allibite e quando i più coraggiosi del gruppo si fecero avanti e iniziarono a fare uno dei due percorsi, alzai ufficialmente bandiera bianca. Mi tolsi il casco, tornai alla tenda a recuperare il telefono e, per il resto del tempo, mi limitai a scattare fotografie e a dare supporto morale ai miei compagni di avventure.
Quando tutti ebbero finito il percorso, decidemmo di fare due passi fino al lago Syamozero, non distante dal parco. Una delle cose che imparammo a lezione è che la Carelia possiede qualcosa come più di 50.000 laghi.
Anche qui, in mezzo alle foreste, il caldo era insopportabile e, mentre alcuni di noi azzardarono a fare il bagno nel lago, io e Serena ci sedemmo all’ombra in un grazioso chioschetto di legno per avere un po’ di tregua. Era completamente fuori dal mio immaginario pensare di andare nel nord della Russia e fare il bagno.
Dopo circa un quarto d’ora che ci trovavamo lì, iniziarono a sentirsi tuoni in lontananza e poi sempre più vicini, perciò, dopo aver avvertito il resto del gruppo che se la spassava in acqua, tornammo al campo dove Andrej e la sua collega, di cui non ricordo il nome, ci offrirono degli snack, intorno a un fuoco acceso fuori dalla tenda e dopo qualche minuto ci salutarono. Poi un’altra ora e un quarto di follia, con Anton alla guida verso Petrozavodsk.
Tornata all’appartamento, feci come Nadezhda mi aveva detto fin dal primo giorno: “come se fossi a casa mia”. Presi dal frigo il plov del giorno prima e le polpettine del mattino, scaldai tutto nel microonde e cenai in solitaria. Poi sparecchiai la tavola e andai nella mia stanza a compilare il questionario di gradimento che ci era stato dato quella mattina a lezione.
Nadezhda tornò a casa verso le 21.30 e, cinque minuti dopo, mi aveva già portato in camera un piatto pieno di pezzi di anguria. Mi chiese a che ora sarei dovuta partire la sera dopo. Le dissi che l’appuntamento era alle 20 alla stazione e che pensavamo di prenotare un taxi per lo spostamento, visto che era piuttosto lontana dal nostro quartiere.
Poi andai a dormire con un filo di tristezza perché il giorno seguente avrei dovuto salutare Petrozavodsk.
To be continued…
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