Il mio viaggio in Russia: giorno 7

SUL PLATZKART VERSO MOSCA

Venerdì, 3 agosto 2018

Il venerdì mattina scattai una foto con Nadezhda, per poter avere sempre un ricordo di lei e della settimana trascorsa come sua ospite. Mi spiacque un po’ non aver avuto l’occasione di farne una anche insieme a suo marito Vladimir, ma purtroppo non sapevo che non sarebbe più tornato a casa, prima della mia partenza.

Poi chiesi una scopa per pulire la mia stanza. Lasciare in ordine la propria camera, infatti, era elencato tra i doveri dello studente, nell’e-mail inviataci dalla scuola. Iniziai anche a risistemare le valigie per non essere troppo nelle curve alla sera.

Il gioco Chi vuol essere milionario applicato ai verbi di moto

L’ultima lezione all’Enjoy Russian School fu alquanto spassosa e produttiva. Durante la prima parte Alina scelse di affrontare come argomento quello che è l’incubo di tutti coloro che decidono di intraprendere lo studio della lingua russa: i verbi di moto e tutte le differenze di significato ottenute con l’aggiunta ad essi di prefissi.

Nella seconda parte, fummo nuovamente divisi a gruppi di due: io ero in gruppo con Serena. Ci venne consegnato un biglietto su cui erano scritte delle indicazioni stradali. Il nostro obiettivo era, nel minor tempo possibile, seguire quelle indicazioni e tornare in classe a riferire a quale edificio conducevano. Vinceva il gruppo che sarebbe rientrato a scuola per primo.

Da poco aveva iniziato a piovere, quindi, io e Serena, ci recammo nel luogo indicato in fretta e furia e a braccetto sotto un unico ombrello, ridendo e impazzendo nel tentativo di capire cosa diavolo significassero quei verbi di movimento scritti sul biglietto.

Al ritorno in classe, Alina ci lanciò una sfida. Saremmo stati capaci di cantare una canzoncina russa, facendo anche una piccola coreografia? Naturalmente il tutto sarebbe stato ripreso e sarebbe finito sulla pagina Facebook della scuola.

Nella mezz’ora che rimaneva, quindi, provammo a cantare in gruppo il ritornello di Kalinka, considerata la canzone russa più famosa di tutti i tempi. Il divertimento, a quel punto, era ai massimi livelli e quando, finalmente riuscimmo a cantarla senza scoppiare a ridere, Alina ci filmò con il suo cellulare.

Con il certificato di livello A2

Poi ci vennero consegnati i certificati di partecipazione al corso, attestanti il raggiungimento del livello A2 e, dopo avere scattato una foto di gruppo, arrivò, purtroppo, il momento dei saluti.

Nel pomeriggio girammo un’ultima volta per la città e ne approfittammo per tornare in alcuni negozi di souvenir, in cui ci aveva accompagnato la babushka di Serena, per comprare gli ultimi pensierini, dato che sapevamo che a Mosca i prezzi sarebbero stati alquanto diversi.

Io comprai un cucchiaio decorativo tipico russo e una statuina in shungit a forma di orsetto in un carinissimo negozietto sul Prospekt Lenina in cui la commessa si offrì di parlare in inglese nel caso in cui avessimo problemi con il russo, ma poi, con nostra grande soddisfazione, riuscimmo a concludere i nostri acquisti parlando esclusivamente russo, cosa che fece molto piacere alla commessa, che si complimentò con noi. Ho ancora chiari in mente i suoi sorrisoni. In un supermercato, invece, comprai del tè russo e una barretta di squisito cioccolato al caffè.

I regali di Nadezhda

Verso le cinque tornammo a casa per sistemare le ultime cose in valigia e cenare. Quella sera Nadezhda mi preparò un’insalata di pomodori con smetana e una pizza con gli onnipresenti cetrioli e mi diede anche tre regalini: un magnete per il frigo, del cioccolato al latte e una piccola matrioska.

Verso le 19.30 ci salutammo e ci abbracciammo commosse, poi uscii da casa sua per l’ultima volta e mi feci i meravigliosi tre piani di scale, con le mie due valigie.

Arrivai sotto casa di Serena, dove Lorenzo già ci aspettava per salutarci. Lui sarebbe rientrato in Italia la domenica e non sarebbe, quindi, venuto a Mosca con noi.

Il taxi arrivò poco dopo, con Giulia e Larissa, la sua padrona di casa, che si offrì di pagarci la corsa.

Una volta arrivate alla stazione, aspettammo che tutto il resto del gruppo arrivasse, poi ci avviamo verso il binario dove avremmo preso il nostro plazkart, lo storico treno sovietico con scompartimenti-letto aperti. Ogni scompartimento è composto da sei letti (tre sopra e tre sotto) e la condivisione è la parola d’ordine.

Il treno partì alle 21 e sarebbe arrivato a Mosca al 9 del mattino dopo, un viaggio di 12 ore nelle campagne russe.

Il letto del platzkart

A causa di problemi con la prenotazione aerea un paio di mesi prima della partenza, tardammo un po’ ad acquistare i biglietti del plazkart, perciò, al momento della prenotazione, erano soltanto più disponibili i posti letto superiori, quelli più scomodi. Il letto superiore accanto al mio era quello di Serena. Sotto di noi c’erano una mamma con il bimbo e la nonna, tutti e tre di Petrozavodsk, che ci fecero posto sui loro letti e ci invitarono a sedere. Sui letti superiori non vi era sufficiente spazio per riuscire a stare seduti, quindi tenemmo compagnia alla piccola famigliola russa per un’oretta e scambiammo anche due parole con loro. Poi salimmo a fatica sui nostri letti e, cullati dal ritmo lento del treno, che piano piano si avvicinava a Mosca, ci addormentammo. Da quel momento in poi, Petrozavodsk ha un posto speciale nel mio cuore.

To be continued…

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